Circa un mese fa ho partecipato ad un seminario presso la Lumsa di Roma, dal titolo Apprendere serve, servire insegna. Il tema mi era sconosciuto, fino a quando l’anno scorso non avevo letto questo articolo Una via italiana per il Service Learning, tratto dal sito del Miur. Un’ulteriore “scoperta” mi era giunta da Avanguardie Educative, dove una delle idee-chiave, denominata Fuori e dentro la scuola, risultava essere stata integrata dal Service Learning, proprio a partire dal 2017/2018.
Inutile definire una metodologia che altri già chiariscono in modo egregio: certamente è molto affascinante perché punta fortemente sulla motivazione e sul bisogno sociale, nonché sull’interdisciplinarietà e la partecipazione di più protagonisti. Anche il fatto che sia di prassi “curricolare”, ne fa una modalità che muove dall’interno della scuola i nostri alunni verso i veri problemi sociali, in cui siamo immersi e che spesso la scuola sottovaluta per un insegnamento troppo teorico.
Durante il seminario di Roma, molte sono state le esperienze presentate da María Nieves Tapia e gli spunti per l’insegnamento che ha saputo dare. Qui l’improvvisazione non c’entra proprio, ma allo stesso tempo gli elementi di vita quotidiana possono evidenziare l’argomento da trattare, il problema da risolvere con un intervento educativo e sociale che deve essere d’impatto. Mentre la ascoltavo, da una parte mi domandavo se alla primaria tutto ciò possa essere applicabile alla stessa maniera che in una scuola superiore o universitaria. Dall’altra mi veniva spontaneo ripensare a quante volte, nell’insegnamento delle mie materie ho motivato gli studenti proprio su elementi concreti, come la risoluzione di una problematica importante: talvolta credo di esserci riuscita; altre volte mi rendo conto di avere solo impostato elementi reali con “prototipi” di risoluzione che chiedevo agli alunni di creare e che magari potevano funzionare sia pure con qualche difetto. Qui invece la risoluzione deve essere vera e funzionante. In pratica si va oltre il tentativo di rendere concreto l’insegnamento.
Si va anche oltre la simulazione, via da me sperimentata più volte, specialmente con l’uso dei mondi virtuali, ma anche con l’applicazione della Didattica per Scenari, che ho imparato ad apprezzare da diversi anni grazie al ricercatore tecnologo Andrea Benassi, dell’Indire di Firenze. Egli ne seguì la sperimentazione a livello europeo fino alla definizione attuale dell’idea innovativa in Avanguardie. In pratica si auspica il ritorno della scuola alla vita concreta, permettendo ai nostri studenti di verificare quanto siano utili i processi di apprendimento teorici per la nostra società, se questi ultimi riescono a stimolare la nascita di idee e la messa in pratica di progetti che portino alla vera risoluzione dei “grandi” problemi: uscire dalla scuola allora vuol dire “servire” e apprendere dal “servizio” per imparare a vivere, non per prendere un voto o acquisire semplicemente un diploma.
Alla fine quindi, si può dire che sperimentare questa nuova strada non può che portare la scuola sempre avanti, verso un futuro migliore. Ma alcuni punti sono ancora da chiarire e certo richiederanno un approfondimento maggiore. Un suggerimento è di leggere ciò che scrive il grande Italo Fiorin nel suo libro “Oltre l’aula. La proposta pedagogica del service Learning”: egli è alla guida della scuola EIS, della Lumsa ; anche la partecipazione al prossimo convegno sul tema, che si terrà a Lucca dal 6 all’otto maggio 2019, presso il noto complesso di San Micheletto potrà essere utile allo scopo.
Interessante è la lettura di queste esperienze scelte fra tutti i livelli scolastici: mi piacerebbe sapere cosa ne pensate anche voi che mi leggete… quindi, scrivetemi, se ne avete voglia.