L’intervento di Giorgio Jannis

Giorgio Jannis parla di una nuova cultura tecnologica. Dopo il ’72-’73 si parla di periodo postindustriale: se tralicci e ciminiere erano visibilmente le tracce della società industriale, dopo quella data hanno inventato il dna ricombinato: nel microprocessore c’è la smaterializzazione della civiltà. Oggi un cellulare può essere molto più potente di un qualsiasi pc. La nuova cultura non si vede. Dobbiamo cambiare il nostro modo di pensare, il nostro modo di abitare. Chi non è abitante della rete, non capisce appieno questo discorso. La rete è sempre stata vagheggiata come luogo umano : è calda perchè è relazionale. Quindi bisogna fare insegnamento dentro i luoghi nuovi, ma se non si hanno le competenze, allora dovremo dare fiducia ai nostri ragazzi che ci diranno cosa fare, ad esempio “non pubblicare il powerpoint perchè non sarà linkabile” ecc… Il bambino è sempre “oltre” il genitore e anche oltre gli insegnanti: genitori e insegnanti non possono parlare loro, di ambienti che non conoscono. Le persone “vecchie” non capiscono che la versione  è sempre “beta” e non mai definitiva, non è stampata negli anni, ma è sempre in movimento, sempre modificabile.

Giogio Jannis è presidente dell’associazione Nuovi Abitanti: già di per sè il termine chiarisce molto di ciò che è la società d’oggi. La gente sente la parola tecnologia e si preoccupa: gli insegnanti spesso provano ansia e panico di fronte alla macchina. Noi abitiamo paesaggi antropici, una realtà tecnologica: progettare è agire sul futuro. La cultura scientifica cerca i linguaggi formali, ma la mano tocca la realtà…Comprendere la tecnologia che ci circonda è un problema, più per noi adulti che per i bambini. Tutta la nostra realtà è “teconologica” ma è difficile da capire per chi teme la tecnologia, anche se spesso è più semplice di quanto si creda: meglio essere consapevoli del nostro tentativo di descrizione, per formulare ipostesi fino a quando la teoria dirà meglio di noi. Non sappiamo cosa sarà la rete fra sei mesi: sicuramente abitiamo la rete, noi abbiamo il dovere di far sì che gli alunni capiscano sempre meglio le regole che vigono. Oggi vediamo il fiorire di blog didattici, perchè ogni insegnante che ha un minimo di conoscenza lo apre e lo usa per metterci i compiti e lo usa coi suoi alunni. Molti sono gli oggetti teconologici: anche un forno è un oggetto tecnologico e per assurdo anche la scuola è un oggetto teconologico. Io devo fare in modo che le persone abbiano la possibilità di esprimersi: quanto sono importanti i contenuti, se non do agli alunni questa possibilità? Se non dò loro questo, la scuola non vale nulla. Essi devono essere capaci di orientarsi nel mondo, capaci di capirlo. E’ incredibile come nella rete tutto “torna”: una frase messa lì, può tornare dopo diversi mesi su di una discussione cui ero iscritto… L’ambiente mentale in cui penso le cose non è  dimensionato  nel modo corretto. Parliamo di scuola. Il personale ha competenze e incentivi;  strumenti che deve comunque usare. Ma la scuola è vecchia, anche strutturalmente, manca tutto nelle aule. Manca internet nella classe, bisogna pensare a scuola senza aule, è un parlante ratificato. Quindi dovrà dare il linguaggio giusto, con le caratteristiche grammaticali giuste, la scuola deve essere un luogo parlato, che comunica. La scuola deve comunicare in una comunità educante, comunicare col territorio, perchè trae il suo senso dal territorio che abita. La scuola deve smettere di far finta di essere da un’altra parte. Dieci anni fa il mondo era un altro eppure la scuola finge di essere ancora ad un’altra epoca, come se cellulari e internet non esistessero. Dal momento che ho internet nel cellulare, sono già nella rete, in ogni momento. Come insegnante ho questo scopo: che le idee possano propagarsi e crescere. Fare scuola è “un fare”!